Acqua pubblica: l'efficienza è possibile

Con il referendum del 12 e 13 Giugno 2011, circa 26 milioni di Italiani hanno detto NO alla privatizzazione parziale della rete di distribuzione idrica nazionale. 

La campagna per il SÌ abrogativo, per essere più efficace, ha dovuto presentare i possibili vantaggi futuri in maniera molto semplificata, andando però a trascurare i fattori positivi della privatizzazione.

Come qualcuno di voi ben sa, ritengo che nulla sia negativo al 100%, e per riuscire ad analizzare globalmente alcune problematiche è necessario inquadrare bene la situazione in cui si va ad applicare un certo intervento legislativo.

Prendendo atto che in questi anni la privatizzazione della rete idrica non si farà, andiamo ad analizzare quale sia la realtà del rubinetto italiano.

In genere, in qualsiasi ambito, la motivazione principale per cui la politica si può permettere di proporre una privatizzazione di un servizio è la sua reale inefficienza: in Italia la quasi totalità dei servizi pubblici generano voragini di deficit e, quelle poche realtà che riescono ad avere un bilancio positivo, faticano in un modo incredibile.


Non direi niente di nuovo raccontandovi che in Italia i servizi pubblici sono inadeguati, chiunque lo vedrebbe con i propri occhi, ma per concepire una soluzione è necessario comprendere il perché di questa situazione.

Le società pubbliche non focalizzano i loro sforzi nella competizione nel libero mercato ma, anzi, spesso sono incentivate a fare l'esatto opposto. Ad esempio, pur di allinearsi ad una logica politica locale si potrebbe creare la classica situazione in cui una fascia della popolazione non paga le bollette e, chi le paga, ha tariffe così basse che non consentono alla società di raggiungere il pareggio di bilancio.

I vertici delle società pubbliche spesso ottengono vantaggi maggiori asservendosi alla politica, non avendo così dei validi motivi per un'oculata gestione del servizio.

Perché allora una società dovrebbe impegnarsi a monitorare tutta la rete idrica, investendo in personale e strumentazione, quando chi le comanda può avere guadagni maggiori facendo quello che dicono i potenti? La conseguenza di ciò è che in Italia, pur avendo buone intenzioni, è comunque difficile riuscire ad elaborare delle soluzioni senza avere dei dati attendibili sull'effettiva gestione nazionale.

Sappiamo che il sistema non funziona, ma non sappiamo con precisione dove intervenire. E se, per caso, una società pubblica seria voglia investire nel monitoraggio e nell'ottimizzazione del servizio, potrebbe essere ostacolata dalla politica, che il più delle volte ha interessi diversi dal bene della collettività.

Infine, anche se si ha la fortuna di avere dei buoni politici locali, c'è sempre qualche altro politico, imprenditore, mafioso, istituzione o amministratore che può mettere i bastoni tra le ruote. Questo significa che in Italia, purtroppo, il libero mercato non si può considerare tale.

A questo punto, chi ha votato SI al referendum, potrebbe pensare di aver fatto un errore. Sinceramente non credo sia così: le società pubbliche e private soffrono della stessa malattia, ma la seconda può prendere decisioni molto più negative nei confronti della collettività, pur riuscendo ad ottenere una gestione idrica più efficiente.

La morale è che:
La gestione pubblica non funziona perché la politica italiana è inadeguata.
Questo non vuol dire che bisogna allontanare la politica dalle società, privatizzando tutto, dato che sono proprio i governi coloro che non permettono decisioni impopolari a discapito dei cittadini. Il problema di fondo è quindi individuabile nei governanti, regionali e nazionali, e non nel servizio pubblico.

L’acqua pubblica, per definizione, appartiene a tutti. Cosa c'è d sbagliato in questo? Perché attaccare il pubblico quando invece è il vertice gestionale che va cambiato?

La soluzione, in generale, risulta molto semplice:

  1. Con un elettorato consapevole, ottenere tramite il voto una classe politica che dia voce alle esigenze della collettività, corretta e orientata al bene della nazione.
  2. In un clima politico favorevole, incentivare le società pubbliche ad investire nel monitoraggio e nell'ottimizzazione del servizio.
  3. Rendere consapevoli i cittadini, aumentando la trasparenza nella gestione economica e tecnica della rete di distribuzione.
  4. Aumentare inizialmente le tariffe per consentire gli investimenti necessari in efficienza e sicurezza, per poi abbassarle quando si raggiungono gli obiettivi dichiarati.

Io non credo che i cittadini siano avari, io credo solo che vogliano spendere la giusta somma proporzionata ai vantaggi che si possono ottenere.

Con una classe politica che lavora per la collettività, con un azienda che si impegna per un servizio eccellente, per quale motivo i cittadini non dovrebbero spendere un po' di più per ottenere un servizio migliore?

Per ogni litro di acqua che consumiamo se ne perdono decine durante il tragitto acquedotto-utenza. Se si riesce a migliorare REALMENTE il servizio, possiamo davvero avere tutti dell'acqua di qualità ad un ottimo prezzo.

Con l'attuale clima sociale questo obiettivo è irraggiungibile, perciò attenti alle prossime elezioni, è proprio dentro l'urna che si decide il destino di noi italiani.

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